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Incontro con Simona Baldelli autrice de “La vita al rovescio”

Simona Baldelli nasce a Pesaro, là dove le Marche sfumano nella Romagna e viceversa.
Ha lavorato in teatro, come attrice, regista e drammaturgo.
Ha esperienze di cinema e radio.
Il suo primo romanzo Evelina e le fate (Giunti, 2013) Finalista Premio Italo Calvino 2012 e Vincitore del Premio Letterario John Fante 2013, è stato tradotto in spagnolo e distribuito in Spagna, America Latina e Stati Uniti.
Il secondo, Il tempo Bambino (Giunti, 2014) è stato Finalista Premio Letterario Città di Gubbio e indicato da Panorama fra i 10 romanzi italiani più belli usciti nel 2014.
Il terzo romanzo, La vita a rovescio, è uscito per Giunti Editore, nell’aprile 2016.
Alcuni suoi racconti sono stati inseriti in antologie curate da Omero Editore; Achab rivista letteraria e Watson edizioni.

Abbiamo voluto approfondire con Simona alcuni temi relativi al suo ultimo romanzo La vita al rovescio e conoscere meglio la sua protagonista Caterina Vizzari/Giovanni Bordoni. ecco cosa ci ha raccontato…

Grafica Divina

Quali sono state le difficoltà e quali i vantaggi di ambientare una storia in un tempo passato?

Gli svantaggi sono stati quelli legati soprattutto alla ricerca della documentazione, faticosissima, perché purtroppo mi sono scontrata con episodi di incuria, mala gestione e con alcune attività al limite dell’illecito delle nostre principali biblioteche pubbliche. Non faccio nomi, ma per fare un esempio in una di queste nostre realtà scopro che c’erano i passaporti dell’epoca di Caterina che io volevo vedere per poterli descrivere e dopo due ore di richiesta, ‘la tipa’ della biblioteca faceva fatica a capire che mi chiamavo Simona Baldelli e che stavo scrivendo un libro ambientato nella prima metà del Settecento a Roma e che mio personaggio si trasferiva dallo Stato Pontificio al Gran Ducato di Toscana e quindi mi occorreva… dopo due ore si “illumina” dicendomi che sì i passaporti sono bellissimi in formato a 5 col sigillo e la ceralacca con scritti tutti i connotati ovviamente non essendoci foto, mi ha detto che lei l’anno scorso ne ha archiviati così tanti, uno scatolone intero e che però non si trovano più… E questo è solo uno degli esempi. Per fortuna ho potuto contare sull’aiuto di un amico preziosissimo, Claudio D’avanzo che ringrazio anche alla fine del libro, un amico costumista che lavora in Cina che mi ha dato dei materiali dei libri su cui loro studiano e su stoffe e arredi che mi sono stati molto utili.
Sui vantaggi stavo per dirti che non ce ne sono poi però oggi scrivere storie contemporanee purtroppo implica che non si possa prescindere dai maledetti “aggeggi elettronici”, dai computer dai device, dai telefoni, perché tutti quanti ne abbiamo. Se hai un problema siamo impossibilitati alla descrizione dell’avventura e la quotidianità ti porterebbe a descrivere gente che manda watzupp o che scrive su Facebook ed e abbastanza antitetico rispetto al fascino della narrazione. Per cui guardare al passato innanzitutto può essere una lente di ingrandimento rispetto al tema che tratti e vedere da allora ad oggi quanto strada è stata fatta, se ne è stata fatta, e quanta ancora ne dobbiamo fare, ma al di là di tutto abbiamo una contemporaneità molto piatta…

Come hai costruito la tua eroina?

Mi sono basata su quel poco che il saggio storico di Marzio Barbagli e prima ancora quello del 1740 di Giovanni Bianchi, il medico che effettivamente conobbe Caterina Vizzani, Giovanni Bordoni, mi sono basata su alcune sporadiche descrizioni e poi si va di fantasia e di letture personali da quando Flaubert ha detto: “Madame Bovarie c’est moi” anche io posso dire sono Caterina Vizzani, per cui è logico che qualsiasi azione di qualsiasi personaggio passa sempre da una soggettiva, da un punto di vista personale, quindi ho messo a Caterina caratteristiche che mi sembravano giuste per lei, che avevo sperimentato, ho pensato a cosa avrei fatto io col mio carattere e con la mia visione delle cose se mi fossi trovata al suo posto. Rispetto al saggio storico e ad alcune parti che credo di aver intuito, ho deciso di smussare un po’ per non correre il rischio di renderla un personaggio per così dire, tagliato con l’accetta, che poteva essere vicino non proprio ad una macchietta, ma comunque con poche sfumature.

Che significa comprendere di avere una vita al rovescio?

Credo che in qualche modo accada a chiunque di noi nel momento in cui ci si rende conto di avere delle pulsioni, dei desideri, di prendere una direzione diversa da quella che gli altri si aspettano che tu percorra, i genitori, la famiglia. Cito Jodorowsky che adoro, in particolare quando nei testi dedicati ai tarocchi dice che in qualche modo il destino di una persona viene definito dal suo nome, ha fatto l’esempio di quando si è trovato in Italia a discutere di queste cose con una una ragazza presente ad uno dei suoi incontri che si chiamava Maria Crocifissa dicendo che su di lei risulta difficile pensare ad un’infanzia e un’adolescenza particolarmente libera, in cui le fosse permesso di fare tardi la sera di andare in campeggio con gli amici, se ti chiami Maria Crocifissa è facile che qualcuno abbia fatto su di te delle proiezioni e come quando ti danno il nome di un caro estinto, di un nonno morto giovane, è chiaro che stanno trasferendo su di te le caratteristiche che hanno visto su quella persona e ci si aspetta che in qualche modo tu gli somigli.
Avere la vita al rovescio significa anche semplicemente avere voglia di fare l’idraulico in una famiglia di notai o viceversa o decidere di voler vivere nella legalità se nasci in una famiglia di un padrino laddove ti accorgi che stai deragliando dal seminato capisci di essere al rovescio e per la prima volta solo. In più immaginiamoci di essere come Gulliver quando arriva nel paese dei Lillipuziani, lui è così tanto fuori misura, o al contrario molto piccolo in un paese di giganti dove tutto è tagliato in una forma diversa che non è la tua e tu ti senti sempre costantemente sbagliato e c’é chi cerca di passare una vita di infelicità e frustrazione per cercare di raddrizzarsi sempre secondo le opinioni degli altri, oppure nel caso di Vizzani che prova a raddrizzare il mondo che la circonda.

Tu e Caterina sareste andate d’accordo?

Credo che ci saremmo piaciute e probabilmente stimate, ma andar d’accordo non lo so , forse saremmo state ingombranti l’una vicino all’altra perché anche io alla lunga ho un carattere non facilissimo, ho una prima apparenza molto entrante e accogliente, tollerante, ma questo lo sono fino in fondo però poi, però…
Io mi immagino Caterina un po’ permalosa e io dopo un po’ con i permalosi litigo sempre me la immagino così perché come dicevo prima circa il sentirsi al rovescio, dopo un po’ hai i nervi scoperti, sei più suscettibile e in qualche modo permalosa e io mi ci scontro perché dopo i primi dieci minuti di convenevoli in cui tutto è bellissimo dico quello che penso e soprattutto penso quello che dico quindi Caterina me la immagino non adattissima a sentirsi dire qualsiasi cosa.
Quali sono le tue passioni?

Ho sempre avuto la fortuna di avere il coraggio di trasformare le cose che mi piacciono in lavoro come sta avvenendo da qualche anno con la scrittura, prima il teatro, l’organizzazione e promozione di eventi, ho sempre avuto la fortuna di fare le cose che mi piacciono e quindi in questo momento le mie passioni sono quello che sto facendo lo scrivere, le mie cagne e tutti gli animali che incontriamo quando andiamo a zonzo mattina e sera per fare le nostre sgambate, attività quella del camminare , correre e rotolarsi con gli animali che consiglio a chiunque abbia voglia di occuparsi di intelletto perché dopo un po’ si tende a separare le cose e non fa bene… bisogna conoscere la terra, gli escrementi, gli insetti, il sudore, la fatica, bisogna cascare nelle buche, prendere la pioggia, la grandine, sentire freddo..
mi piace lo sport tutto, il calcio un po’ meno, ma per il resto tutto perché mi emoziona l’uomo che si confronta con i suoi limiti, perché lo sport questo fa oltre ad essere selezione di meriti, dopo di che sono anche per me un mezzo di comunicazione, un medium, un canale come direbbe un mio amico musicista, percussionista. Anche la passionalità è un mezzo di espressione, non ho un temperamento molto moderato, ho sangue romagnolo nelle vene per cui…

Cosa è cambiato in te dopo questo libro?

Non il fatto di acquisire nuove prospettive rispetto ai punti di vista perché era una cosa che avevo già fatto con Evelina e le fate e soprattutto con Il tempo bambino, da un punto di vista pratico legato alla scrittura è stata una cosa molto, molto, molto faticosa, per i problemi di cui abbiamo detto soprattutto per la documentazione e poi sono una lettrice avida di particolari ed è la cosa che cerco di fare ovviamente anche quando mi trovo a scrivere.
Io credo che scriviamo i libri che vorremmo leggere quindi da lettrice avida di particolari mi piace scrivere romanzi avidi di particolari e voler scendere nei particolari con una ambientazione così lontana, ma reale non immaginata, Caterina Vizzani e le sue vicende erano realmente esistite e accadute ed io ho sentito una grandissima responsabilità, grandissima, lei che era esistita e parlava attraverso me, per cui la difficoltà é stata grossa e credimi, io per alcuni mesi ho smesso di scrivere, volevo mollare la vicenda lì. Poi però mi sono detta “no dai sei già a metà, hai già fatto un lavoro grandissimo quindi vedi di portarlo a termine”, quindi direi che mi è rimasto un allenamento pazzesco questo sì, una consapevolezza, forse anche mestiere, è stata una grandissima scuola. Grazie Caterina.

E il tuo mondo fatato?

Rispetto a tutto questo mio assurdo mondo di fate, fantasmi, nuvole d’oro eccetera quello che mi porto a presso al di là del fatto che mi piacciono e mi divertono, mi aiutano a sviluppare un aspetto più fisico, più dinamico dei personaggi, quella cosa che gli sceneggiatori, americani soprattutto, traducono con “show, don’t tell ” “mostralo non dirlo”. Io non amo molto le elucubrazioni introspettive… nel senso se sei Dostoevskij e stai scrivendo Le memorie dal sottosuolo, mi piace che il lettore capisca quello che sta accadendo nella mente, nel corpo, nel sangue del personaggio senza dirglielo e avere una reazione dinamica, come con le fate per Evelina i fantasmi per Mr. Giovedì, la nuvola d’oro per Caterina… questa dimensione mi da modo di far cogliere degli stati d’animo senza descriverli. Faccio un esempio: ad un certo punto Caterina Vizzani che è già Giovanni Bordoni, ha fatto qualcosa di cui non è particolarmente contenta. Rientra in camera, trova Bradamante la nuvola d’oro sospesa sul comò e la nuvola d’oro si contrae, si espande si contrae ancora e sparisce, sul comò rimane una goccia che possiamo immaginare anche come una lacrima ed è chiarissimo, io credo, che Caterina stia provando un senso di colpa, di mortificazione che non è per niente contenta di quello che ha fatto, ma non mi metto a scrivere pagine e pagine per raccontarlo, preferisco risolverla con questa azione, la nuvola che si rabbuia si contare contrita, lacrima e se ne va. Quindi il mio mondo fantastico, al di là che i mondi fantastici mi piacciono da morire, mi occorre perché la stragrande maggioranza delle cose per cui vale la pena vivere come i sentimenti e le emozioni non sono tangibili e quindi quello che non è tangibile, non è concreto io devo poterlo raccontarlo nei libri e li metto sotto forma di queste figure qua che mi permettono di svolgere sempre delle azioni e non partire con delle elucubrazioni che potrebbero essere soltanto mie ma piuttosto con fatti oggettivi.

Intervista di: Elena Torre

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