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Conosciamo meglio Gladis Pereyra

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Grafica Divina

GLADIS ALICIA PEREYRA RAFFINATA SCRITTRICE SI RACCONTA IN ATTESA DELL’USCITA DEL SUO PROSSIMO LIBRO: “I panni del Saracino” ed. Manni

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\r\nCOMUNICATO STAMPA / INTERVISTA    1. Qual è il suo libro preferito e perché?    Non credo di avere un libro preferito, piuttosto dei libri. Sono libri che mi hanno aiutato a crescere, non soltanto come scrittrice ma anche come persona. La Recherche di Proust che è stata per me la migliore scuola. Alcuni romanzi di Virginia Woolf, “Gita al faro” l’ho letto tre volte, “La signora Dalloway” due. Ho letto più volte anche “Don Chisciotte”. A tredici anni ho letto Dante tradotto in spagnolo e quando, molti anni dopo, ho affrontato la versione originale in volgare, mi sono stupita di quanto di questo difficilissimo capolavoro assoluto mi era rimasto impresso nella memoria. Alcuni libri sono stati autentici cardini nella mia vita, portatori di grandi svolte; il più importante, il decisivo, è stato “I miti di creazione” di Marie Louise Von Franz.  Questo libro è stato una sorta di segnaletica stradale, una freccia azzurra che indicava una strada da percorrere ed era la strada giusta.\r\n\r\n2. A cosa si ispira prima di scrivere…\r\n\r\nA volte a un personaggio realmente esistito come per la Fiammetta di “Il cammino e il pellegrino” o per Nerino dei Buondelmonti di “I panni del Saracino”. Altre a un viso o a uno sguardo visto di sfuggita per strada, a un riflesso sull’acqua, a un quadro. Una scena, che ritengo tra le più riuscite del mio primo romanzo, me la suggerì un dipinto della prima maniera di Mondrian: difficile collegare Mondrian al tredicesimo secolo fiorentino e invece è stato così. In sostanza, a qualsiasi cosa che svegli la mia fantasia e mi permetta di costruirne un’intera vicenda attorno; vicenda che il più delle volte si scosta completamente, come nel caso del quadro di Mondrian, da ciò che me l’ha ispirata.  3. Le idee per un’opera le vengono spontanee? come? \r\n\r\nLe idee possono sorgere spontanee da chissà quale fonte inconscia o, come ho detto prima, mi vengono suggerite da cose o situazioni assai diverse. Da un certo tempo si aggirano nella mia fantasia brandelli di una storia ambientata nella Bisanzio della fine del dodicesimo secolo e si profilano alcuni personaggi; finora la ho lasciata stare, non ho preso neanche appunti.  Mi astengo perché nell’immediato futuro il mio impegno si deve concentrare sulla promozione di “I panni del saracino” che uscirà a fine maggio. In seguito voglio riprendere un altro romanzo, più volte lasciato in sospeso, che ho iniziato e continuato a scrivere nei momenti in cui, disperando di riuscire a portarlo a termine, abbandonavo “I panni”. 4. Se potesse cambiare lavoro che lavoro farebbe e perché? Non vorrei cambiare lavoro, anzi, non potrei. Se nessun editore volesse pubblicare i miei libri, continuerei a scrivere ugualmente. Fantastico, però, di affiancare alla scrittura la pittura. Con l’immaginazione ho dipinto molti quadri, forse un giorno avrò il tempo da dedicare a quest’altra forma di espressione che sento congeniale. In letteratura la descrizione è un modo di dipingere con le parole, non a caso nei miei libri ci sono tante descrizioni. 5. Dove è nata la passione per la scrittura?\r\n\r\nFin dove arriva la memoria, mi vedo con una matita in mano. Mia madre è stata la mia prima maestra. Mi insegnò a leggere e a scrivere verso i tre, quattro anni. Ricordo solo che a cinque anni leggevo senza problemi qualsiasi testo. Iniziai la scuola piena di aspettative, pensando che avrei   imparato tante cose nuove ed ebbi una grande delusione, la maestra cominciò insegnandoci la forma e il suono delle lettere, mentre io ormai leggevo le favole da sola; la prima elementare fu per me di una noia mortale. Fin dalle elementari spesso gli insegnati mettevano i miei componimenti a esempio per gli altri alunni e me li facevano leggere davanti alla classe. Non ricordo in quale anno del liceo, una professoressa arrivò persino a sospettare che io avessi qualche problema psichico perché, secondo lei, un’adolescente non poteva scrivere certe cose. Nessuno dei miei professori si accorse che facevo letteratura senza esserne consapevole. Le idee e le parole giungevano spontanee e così come si presentavano le buttavo sul quaderno. Nessuno capì che ero una scrittrice in erba e non mi aiutarono a comprendere qual era la mia strada; i miei veri maestri furono altri. 6..Quanto ci mette a scrivere un libro?   Dipende, in genere alcuni anni. “Il Cammino e il pellegrino” mi impegnò per più di cinque anni, forse sei. “I Panni del saracino” molto di più perché, a causa della difficoltà della ricerca storica, l’ho abbandonato in diverse occasioni e mi sono dedicata ad altro. Lo lasciavo ogni volta che arrivavo a un punto in cui mi sentivo incapace di portare avanti una storia che trascorre quasi interamente a bordo di una galea del XIII secolo di cui non è facile trovare notizie certe. Fino a noi è arrivato soltanto qualche scafo e per capire come venivano armate non resta che rivolgersi a documenti dell’epoca che sono parchi d’informazioni, l’iconografia è talmente povera e sommaria che si potrebbe dire inesistente. La maggior parte degli studiosi ha ricostruito queste navi prendendo a esempio galere posteriori che sicuramente avevano conservato le caratteristiche fondamentali delle più antiche. A questa difficoltà, si aggiungeva il non trascurabile problema delle battaglie navali, comprendere come si svolgevano – la “Cronaca catalana” di Raimondo Muntaner mi è stata di grande aiuto- e un altro problema in apparenza di più facile soluzione, ma solo in apparenza, scoprire il modo in cui si governavano le galee, navi fatte per la guerra e quelle adibite al commercio, le cosiddette navi tonde; poi c’erano le ciurme, le regole che reggevano la vita a bordo, le leggi sulla pirateria e sulla corsa. Insomma una matassa infernale, credo di esserne venuta a capo dignitosamente e confesso che è una non piccola soddisfazione.\r\n\r\n7. Quando scrive un libro lo scrive tutto di un fiato o a pezzi e poi li unisce? Tutto di un fiato nel senso che scrivo seguendo passo a passo lo svolgersi della storia; ma non sono Borges, purtroppo, che sembra scrivesse in mezz’ora una pagina perfetta. Di solito, la prima stesura mi serve a fissare il pensiero, la lascio decantare e in seguito la sviluppo. Posso tornare su una stessa pagina più volte, anche a distanza di tempo, la ritengo finita solo quando credo di essere riuscita a esprimerne pienamente il senso in un linguaggio scorrevole ed esteticamente valido. Ci tengo molto alla bellezza della prosa. Qualcuno mi ha detto che la bella scrittura denota il provincialismo italiano; se così fosse, mi confesso provinciale e farò del mio meglio per continuare a esserlo. 8.Qual è il suo scrittore preferito?\r\n\r\nForse Proust. In realtà, come nel caso dei libri, non ho uno scrittore preferito ma degli scrittori che hanno avuto un certo peso nella mia formazione. Proust in primo luogo; ci sono stati anche altri, alcuni non erano neanche romanzieri, come Jung. Nei suoi saggi ho trovato risposte a domande che mi ponevo da sempre e che mi hanno permesso non soltanto di capire meglio me stessa ma, soprattutto, di conoscere più profondamente l’anima umana. Nella creazione dei personaggi devo molto a Jung; grazie a questo geniale studioso ho imparato a inoltrarmi nella psiche delle mie creature, a esplorarla cogliendone le mille sfumature e a donare coerenza, spesso nell’incoerenza, al loro agire. Non ho conosciuto di persona i miei veri maestri, quasi tutti sono vissuti prima che io nascessi, ma le loro opere sono state la mia scuola e come i miei maestri le considero e le amo.  9. Qual è il suo genere letterario preferito?  Chiedo a un libro di impegnarmi, di aprirmi nuove prospettive, di farmi riflettere, di sorprendermi. Escludendo l’horror –ho letto solo qualche libro di Stephen King che ho apprezzato -, non importa il genere se un libro è capace di coinvolgermi, di emozionarmi anche a livello estetico, se quando lo chiudo sento di aver impiegato bene il mio tempo.  10. Prende ispirazione anche da altri libri? Sì. Il cammino e il pellegrino nacque da un libro che mi era stato regalato. Mi sono sempre interessata alla storia delle religioni e, conoscendo questo interesse, mio figlio Orazio mi regalò una raccolta di scritti di alcune tra le più note mistiche del nostro paese. Il libro s’intitola “Scrittrici mistiche italiane” è curato da Giuseppe Pozzi e Claudio Leonardi. Leggendolo rimasi affascinata, soprattutto dall’esperienza così… non saprei come definirla ogni aggettivo mi sembra banale, di Angela da Foligno. Da quella lettura sorse l’idea di creare un personaggio seguendo la falsariga delle visioni di Angela. Attorno al personaggio di Fiammetta costruii il romanzo, gli altri personaggi e la storia vennero da sé. Nerino dei Buondelmonti, il protagonista di “I panni del saracino” comparve all’improvviso mentre leggevo la storia di frate Ruggero de Flor. Non ricordo come andai a imbattermi in quel condottiero di cui racconta le gesta Raimondo Muntaner nella sua “Cronaca catalana”, rammento soltanto che la sua storia mi colpì. Ruggero era un Templare che accusato, probabilmente a torto, di aver ritenuto per sé denaro dell’Ordine fu costretto a fuggire e a diventare pirata e poi corsaro al servizio del re di Sicilia. Il mio Nerino ha poco da spartire con Ruggero, tranne il fatto che, da appartenente a un ordine religioso, diventa un predatore del mare. Ruggero, però, era un templare che faceva già il corsaro per conto dell’Ordine; Nerino, invece, è un francescano e la sua metamorfosi è un travagliato passaggio attraverso la propria ombra.\r\n\r\nIntervista di: Daniela Lombardi\r\n

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