Home Da preservare Le tigri in cattività in Asia sono due volte quelle in natura

Le tigri in cattività in Asia sono due volte quelle in natura

Si stima che siano appena 3.900 le tigri libere in natura e il fatto che siano così poche è causato anche dalla presenza di numerosi individui costretti a vivere in cattività. Attualmente, infatti, si conta che siano più di 8.000 le tigri private della libertà nell’Asia orientale e sudorientale, una popolazione che è più del doppio di quella delle tigri libere in natura. La Cina, la Tailandia, il Laos e il Vietnam hanno il maggior numero di tigri in cattività dell’Asia, mentre si pensa che non siano rimaste popolazioni di tigri allo stato naturale in Laos, Cambogia o Vietnam.

Purtroppo l’ “industria delle tigri” in cattività non mostra alcun segno di rallentamento. Un nuovo parco per tigri ha appena aperto a Phuket, in Thailandia, dove un’altra struttura chiamata “Regno delle tigri” è già operativa dal 2013. 

Grafica Divina

L’isola ha avuto quasi 10 milioni di visitatori nel 2019 e questo turismo potrebbe essere sintomo di interesse nel vedere le tigri prigioniere e dunque aver favorito l’apertura di un’altra struttura simile nella stessa zona.

Lo zoo di Sriracha, il parco delle tigri di Pattaya in Thailandia o quello delle tigri siberiane di Harbin in Cina sono luoghi dotati di strutture differenti fra loro, ma i visitatori si trovano davanti molte tigri prive dello spazio necessario per muoversi o che a volte sono costrette a dormire una sull’altra. I turisti hanno la possibilità di interagire o di e farsi fotografare con le tigri, di vederle esibirsi in spettacoli circensi e di dar loro da mangiare polli vivi o carne. I cuccioli di tigre sono sicuri da accarezzare o prendere in braccio solo nei primi mesi di vita, quindi non appena invecchiano si sostituiscono, mentre le tigri più vecchie spesso vengono narcotizzate per permettere ai turisti di farsi fotografare, ma allo stesso tempo pungolate con dei bastoni per fare in modo che restino abbastanza sveglie davanti alla macchina fotografica. In alcuni casi, dunque, i turisti diventano complici inconsapevoli di maltrattamenti e sfruttamenti contro gli animali. 

Nel 2016, dopo la chiusura del Tempio della Tigre Wat Pha Liang Ta Bua a Kanchanaburi, in Thailandia, il mondo ha appreso la drammatica realtà che sta dietro questo tipo di strutture. Oltre alle 147 tigri vive sequestrate, 40 cuccioli di tigre morti congelati, 20 cuccioli conservati sotto formalina, due pelli di tigre adulte, 1.500 amuleti di pelle di tigre e altri amuleti fatti con i denti di tigre: tutti prodotti destinati al mercato nero. Dunque il tempio fungeva contemporaneamente da attrazione turistica popolare e da struttura di allevamento clandestino per la fornitura di prodotti illegali di tigre. E coloro che sono coinvolti in queste attività illegali non sono ancora stati condannati.   

Secondo il WWF, queste strutture in cui si allevano tigri in cattività, con il terribile intento in molti casi di commerciare le loro parti, non hanno alcun tipo di funzione di conservazione della specie, poiché gli animali che vivono lì non sarebbero mai in grado di sopravvivere allo stato selvaggio.

Al contrario, minano gli sforzi per far rispettare la legge rivolta a chiudere il commercio illegale di tigri e in alcuni casi possono contribuire all’aumento della domanda di prodotti illegali del grande felino. Stimolare la domanda in questo modo potrebbe anzi portare a un aumento del bracconaggio contro le tigri che vivono libere in natura. 

La Thailandia ha dimostrato di svolgere un buon lavoro nel proteggere le aree naturali in cui vivono le tigri, quindi è davvero un peccato che l’apertura di un’altra struttura per allevarle in cattività possa compromettere gli sforzi fatti grazie ai progetti di conservazione messi in campo in tutti i paesi appartenenti all’area di distribuzione delle tigri.

Il WWF raccomanda un piano di eliminazione graduale di queste strutture, che inizi con il blocco definitivo del commercio di tutti i prodotti fatti con parti di tigre provenienti da questi centri, attraverso un controllo del numero di individui presenti nelle strutture e con l’immediata chiusura di ulteriori allevamenti illegali.

Il recente bando emanato dalla Cina per limitare il commercio e il consumo di fauna selvatica in seguito all’epidemia di Coronavirus, il cui serbatoio naturale risiede proprio in specie selvatiche come i pipistrelli, potrebbe essere un ulteriore passo per limitare la domanda di prodotti animali in parti sempre più significative del continente asiatico.

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