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Intervista a Gualtiero Marchesi

Ispirato come un musicista, rigoroso come uno scienziato. Gualtiero Marchesi è senza dubbio lo chef italiano più conosciuto nel mondo. Il più amato, il più premiato. A 84 anni compiuti, non smette di stupire. Né di cercare l’idea per una nuova ricetta. La giuria del Peperoncino Festival, presieduta da Cino Tortorella, lo ha appena eletto “Principe gourmet 2014”. La scelta è stata fatta su una magnifica cinquina, votata on line da buongustai di tutt’Italia, di cui facevano parte anche Bottura, Cedroni,\r\nCracco e Iaccarino. La consegna dell’esclusivo trofeo, realizzato dall’orafo Gerardo Sacco, la notte del 12 settembre a Diamante, in una delle cinque giornate del Peperoncino festival. Un riconoscimento che a Marchesi ha fatto piacere, specialmente perché sarà il primo a riceverlo.

Maestro, aveva come avversari Bottura, Cedroni, Cracco e Iaccarino. Chi era il più pericoloso?

Grafica Divina

“Ma io non ho avversari!”

È vero. Però ha allievi…

“Non ho allievi, ma discepoli. È una parola che mi piace molto. Poi in realtà ci sono i discepoli, gli allievi e alcuni cuochi che non vorresti mai che dicessero che hanno lavorato con te perché ti vergogni”.

Non basta avere un buon maestro, per imparare?\

“Io propendo per l’apprendimento, più che per l’insegnamento. Quando ero ragazzo, si diceva che il mestiere si ruba. Perché è l’esempio il migliore insegnamento e perché alla fine, se uno vuole, impara da solo. Ci vogliono due doti, umiltà e curiosità, e poi una terza: l’amore, che è la cosa più importante di tutte”.

La ricetta del successo?

“Intelligenza, passione e soprattutto amore. Come in quel bellissimo film, “Ramen girl”, che racconta di questa ragazza che vuole imparare a fare il ramen, la zuppa giapponese. Quando trova l’amore, trova la sua strada. Le donne cucinano con il cuore, gli uomini invece tendono a complicare anche le cose semplici e a farsi troppe seghe mentali”.

Lei ha girato il mondo, tra poco verrà in Calabria per essere incoronato principe gourmet al festival del peperoncino. Che rapporto ha con la regione e con la sua cucina?

“Conosco poco la Calabria, purtroppo. Ci sono stato da giovane, ma non ricordo molto. Quando avevo 28 anni volevo fare il giro d’Italia partendo proprio dal sud, dalla Sicilia e dalla Calabria, ma la mia famiglia aveva un ristorante da mandare avanti e contava sul mio aiuto. Ho dovuto rinunciare\r\nal progetto. Poi però ho avuto la fortuna di viaggiare molto, spesso insieme a dei veri artisti, per vedere monumenti e opere d’arte”.

Ha visto i bronzi di Riace?

No, non c’è mai stata l’occasione. Anche se adesso pare che verranno a Milano”.

Su questo ci sono molte polemiche, lei cosa ne pensa?

“Speriamo di no, speriamo che li lascino dove stanno, al museo archeologico di Reggio Calabria. Sono fragili, vanno protetti”.

Tornando a parlare di cibo, lei è il padre della nuova cucina italiana, cosa pensa della cucina italiana di oggi?

“Non la capisco. Sarà che ho una certa età. Il fatto è che dentro c’è di tutto. Ci sono molte cose buone, ma anche troppa improvvisazione e tanti pasticci. Non sono contrario all’improvvisazione di per se, ma come diceva Mahler l’improvvisazione presuppone conoscenza. Invece c’è il brutto vizio di improvvisare senza conoscere niente. Per certi versi, siamo ancora all’anno zero. L’altra sera sono stato a una sagra del pesce, qui in Toscana dove mi trovo adesso, non le dico che cosa ho visto”.

Che cosa ha visto?

“Piatti troppo pesanti, praticamente immangiabili al giorno d’oggi. Nessuno lavora più nei campi, ormai è impossibile smaltire quel tipo di cose. Per questo c’è bisogno di alleggerire. La cucina moderna deve conservare i sapori della tradizione, ma con leggerezza, per renderli attuali e contemporanei. Per esempio la Toscana ha una cucina timbrica a cui deve restare fedele, anche se io sono più per quella dolce, ma è solo una questione di palato. Questo non significa che non sappia apprezzare i sapori forti”

A proposito di sapori forti, che rapporto ha con il peperoncino? C’è chi dice che copre i sapori e chi invece è convinto che li esalti…

“Il peperoncino, se usato nel modo giusto, può esaltare molto bene alcune cose. Io, per esempio, amo le paste fredde. Lo vedo bene su un piatto di spaghetti raffreddati, con l’olio e solo il profumo di aglio arrostito. Un piatto molto semplice, ma con un’idea dentro. Ci provi, a prepararli, e poi mi dica. Altrimenti quando vengo a Diamante per il festival, glieli cucino io”.

Maestro, questo sarebbe un piacere e un onore immenso. La prendiamo in parola. Ma lei che ama le pietanze ricche e ha messo l’oro nel risotto, che rapporto ha con i piatti poveri? La incuriosiscono?

“Non è che mi piacciano le pietanze ricche, anzi. Mi piacciono i piatti semplici con dentro un’idea. Lo stile poi può anche cambiare. La cosa difficile è avere delle idee che restino. Come il mio raviolo aperto. Me lo hanno copiato in tanti, perché era una buona idea. Quando devo creare un piatto, io parto sempre dall’idea. Se l’idea è buona, sarà buono anche il piatto”.

Cosa pensa dei programmi di cucina in TV?

“Per carità, lasciamo perdere…”\r\n\r\n- E i talenti show, come Masterchef? Fanno bene o fanno male, alla cucina italiana?\r\n\r\n“Fanno male, perché stimolano troppi ragazzini a fare gli chef. A parte tutto, non mi è mai piaciuta la parola. Anche perché può essere usata in ambiti molto diversi. Abbiamo una parola bellissima, in italiano, che è cuoco. Cominciamo a dire cuochi, invece di chef, e abbassiamo il livello. E poi torniamo alla cucina matriarcale, perché le donne ci mettono il cuore. Almeno quello”.

Maestro, lei sta per venire al Festival del peperoncino per essere premiato. Si è da poco lanciato con il paracadute, è uno dei pochissimi chef che ha avuto il coraggio di polemizzare con la guida Michelin… Si sente un personaggio piccante?

“No, mi sento libero, più che piccante. Non accetto le sciocchezze. Il giudizio su un piatto deve tener conto della personalità di chi lo esegue, ma non può fermarsi a quello. Una sonata di Bach non è tanto importante per come il pianista tocca il tasto, ma perché un grande musicista l’ha composta. Allo stesso modo in cucina. Invece si dà troppa importanza a quelli che si chiamano gli interpreti, che sarebbero poi gli esecutori. La cosa più importante, in un piatto, è l’idea. Alla fine, si torna sempre li”.

Fonte: Parole & Dintorni

Foto: tramite Flickr di Bruno Cordioli

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