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Due chiacchiere con Marco Fabbrini narratore di professione

MARCO FABBRINI è nato e vive ad Abbadia San Salvatore, sul versante senese del Monte Amiata. Laureato in Scienze politiche, studia per una seconda laurea in Storia (disciplina di cui è appassionato cultore) e lavora nell’ambito della comunicazione. Amante della letteratura sin da bambino, si diletta nella scrittura di poesie, favole, racconti e negli ultimi anni si è specializzato nella disciplina dell’historytelling, la narrazione della storia a fini divulgativi.

Da poco ha pubblicato il libro I due che salvarono il Natale per Graphe Edizioni ecco cosa ci ha raccontato.

Grafica Divina

Quanto la tradizione è presente nella tua vita?

Moltissimo. In effetti il legame con la tradizione è ciò che mi fa sentire parte di qualcosa, ciò che mi fa apprezzare i momentisemplici della vita, ma che allo stesso tempo sono anche i più importanti. In questo il vivere in montagna aiuta molto perché aspetti del quotidiano che altrove sono banali e routinari qui diventano per forza eventi tradizionali. Preparare la catasta delle legna in vista della stagione fredda per alimentare il caminetto o la stufa, passeggiare per i boschi in autunno in cerca di funghi e di castagne, svegliarsi presto nelle mattine limpide d’estate e lasciare correre lo sguardo verso est fino a scorgere le cime degli Appennini. Sembrano cose da poco, ma se poi rinunci ad averle ti mancano. Tutto questo si ritrova molto anche tra le pagine del romanzo. L’alba, il soffio della neve, la scelta del legname più adatto a tenere calda la casa non sono fantasie, così come sono verissime e bellissime le fiaccole di Natale e quel sapere popolare che sta alla base della loro esistenza che ad Abbadia San Salvatore gli anziani passano ai giovani generazione dopo generazione. È un bene prezioso che non si trova sui banchi di un supermercato ed è questo a renderlo inestimabile.

Dove ha radice il legame profondo con la tua terra?

Il legame è tutto con la montagna. Se nasci in montagna e trascorri qui i tuoi momenti dell’infanzia e dell’adolescenza poi è davvero difficile allontanarsi. È come una seconda mamma che ti manca.Purtroppo scegliere di rimanere a vivere in un paese di montagna al giorno d’oggi non è banale perché non dipende soltanto dalla tua volontà. Spesso è proprio la legge della sopravvivenza a spingerti altrove. Per quanto riguarda me, la mia scelta di tornare l’ho fatta un sabato pomeriggio sotto un acquazzone in Rue de la Pacification a Bruxelles e da allora non ho più voluto tornare indietro.

Come nasce il personaggio di Mino, quando hai capito che sarebbe stato il protagonista della storia?

Questa è una bellissima domanda. In effetti la storia di Mino e Adele corre quasi in parallelo rispetto alle vicende che coinvolgono gli adulti. Però, se ci pensi, per i bambini nella realtà è lo stesso. Le problematiche sono diverse, gli approcci sono diversi e anche le priorità lo sono. C’è un atteggiamento molto più ingenuo, disinteressato e c’è spesso la disponibilità a mettere in discussione se stessi che non per forza è un male. Quindi, per rispondere alla tua domanda, Mino è diventato protagonista della storia nel momento stesso in cui anche io, scrivendo, mi sono reso conto che certe problematiche che ad un adulto possono sembrare insormontabili e si incanalano sempre verso soluzioni assolutamente prive di creatività, per un bambino rischiano di essere addirittura irrilevanti perché l’approccio alla vita è così diverso che per forza anche il modo di risolvere i problemi dev’esserlo. Insomma, un bambino non può non avere speranza e ottimismo, mentre per un adulto questi due sentimenti sono spesso un lusso.

Come è stato passare dalla narrativa breve alla stesura di un romanzo?

Un bel salto. È come affrontare due gare di corsa completamente diverse, una di velocità, l’altra di resistenza. Quando scrivi un racconto sai che dovrai dare il massimo in un numero di parole che scorre sotto le tue dita in un tempo e con un ritmo ben definiti e che comunque tempo e spazio a tua disposizione si esauriscono in fretta ed in quel frangente devi costruire una narrazione credibile ed avvincente. Come se stessi facendo i duecento metri in pista. Il romanzo è più come una maratona, dove l’unica certezza è lo start. Il tempo che ci metterai, se riuscirai a finire, gli ostacoli che ti riserverà la sfida con te stesso, dipende tutto da te. Non era la prima volta che scrivevo un romanzo, ma era forse la prima volta che scrivevo con l’idea di arrivare fino in fondo e di trovare qualcuno interessato a pubblicarlo. Anche questo ha influito molto perché si possono scrivere romanzi per se stessi che si fermano di fronte al proprio giudizio e poi si può provare a scrivere per gli altri e allora bisogna disporsi nell’assetto mentale giusto per poterlo fare. Un passaggio tutt’altro che facile.

In un momento come questo in cui ognuno è concentrato sul proprio presente che importanza ha o dovrebbe avere la storia?

Se dicessi che è importante probabilmente banalizzerei il concetto. Mettiamola così, viviamo in un’epoca in cui il tempo sembra più rapido, le emozioni effimere e c’è fretta, tanta fretta e questo ci spaventa e la paura ci fa arrabbiare. In più, i grandi progressi tecnologici del nostro tempo sembrano spingerci verso uno spazio inesplorato di fronte al quale ci sentiamo inermi. Vivere nel presente diventa, allora, come una sorta di rifugio sicuro dove ci si può liberare delle preoccupazioni per il futuro e del peso delle responsabilità del passato. Ma non deve essere per forza così. Prendi la tradizione delle fiaccole, ad esempio. Come dicevo uno degli aspetti più belli e significativi è proprio dettato dal fatto che da centinaia di anni le generazioni si tramandino la loro esistenza e questo riesce a far sentire, per la notte della vigilia di Natale,un’intera comunità parte di qualcosa che è unico e prezioso. Le fiaccole però hanno anche saputo adattarsi al tempo presente, ricordando sempre il passato e senza il minimo dubbio di continuare ad esistere nel futuro. Vale per loro come per ogni tradizione vera e sentita e in tutta Italia ve ne sono molte. Razionalizzare sul fatto che la nostra esistenza non è soltanto un “qui” e “ora” ma è parte di un percorso che esisteva ben prima di noi e proseguirà dopo di noi può farci sentire protagonisti di quello stesso percorso. Quello che può fare la storia è già, prima di tutto, aiutarci a capire che non è la prima volta che ci capita di vivere in uno stato confusionale come quello in cui siamo oggi e che la confusione si può superare senza ricorrere a schemi istintivi privi di creatività, appunto. In questo, io credo, chi conosce la storia, chi la approfondisce, chi la studia, ha una grande responsabilità. Un po’ come quegli anziani fiaccolai che tramandano ai più giovani la tradizione delle fiaccole, essi devono trovare le parole giuste per far sì che le generazioni nuove vi si appassionino e perché la storia continui a vivere.

Intervista di: Elena Torre

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