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Da conoscere Guido del Monte

In questo anno come è cambiato il tuo approccio alla scrittura, la tua poetica?

“L’abat-Jour – interno lucchese” è un romanzo necessario al mio progetto letterario perché, tra le altre cose, racconta la storia del regista che ha girato le storie contenute nei miei precedenti libri (Le Protagoniste, Il Souvenir) e che in futuro ne girerà ancora. Sono sempre più immerso dentro la finzione cinematografica, ovvero quella di scrivere il soggetto, il trattamento e la sceneggiatura dei miei libri e poi “montare” questi tre momenti di scrittura tecnica in un tutt’uno che è il romanzo. Allo stesso modo penso che la vita reale, esteriore e interiore, debba essere narrata nel suo svolgersi con strumenti letterari che siano analoghi alla sedici millimetri portata a spalla dai registi della Nouvelle Vague. Per questo motivo sono appassionato lettore di Patrick Modiano.

Grafica Divina

Come nasce l’idea della Nouvelle Vague letteraria?

Domandati cosa possa mai essere un libro scritto e diretto dall’autore, ovvero un libro di cui l’autore è il regista, colui che coordina una troupe di grafici, editor, tipografi, revisori di bozze, uffici stampa eccetera. Quando ho inaugurato il mio progetto (www.nouvellevaguelibri.com) nel 2016 provavo un sentimento di rivolta nei confronti di una narrativa industriale che sembrava nascere da algoritmi invece che da autori. Adesso sono più rilassato, devo solo continuare a fare ciò che faccio. Tieni presente, però, che “L’Abat-Jour” è pubblicato da ETS, un editore tradizionale che ha accolto con grandissima lungimiranza le mie idee… insomma siamo in movimento sperando di diventare un movimento.

Il primo piano di un dito, descritto nel dettaglio, che sta per suonare un campanello. Un’azione naturale che in realtà porta qualcosa di innaturale…

Quello che hai appena raccontato è l’inizio del mio romanzo, ovvero l’umano desiderio di suscitare un incontro con un’altra persona. Non direi, però, che questo porta qualcosa di innaturale, bensì di meraviglioso e imprevedibile, qualcosa di faticoso e niente affatto scontato, una sequenza di fatti che devono pur significare qualcosa.

Lucca come scenario, possiamo vederla come uno dei protagonisti del romanzo?

Lucca, per questo romanzo, non è semplicemente uno scenario, ma non è neppure un personaggio. Non dimenticarti che questa è la storia di un regista che fissa il punto di osservazione nel centro, nell’anima della sua città. Ciò di cui vivono i suoi i film (e parallelamente i miei libri) è un realismo umido che impregna di umori inquieti le pagine, ma anche di una linfa che fa rinascere a nuova vita. Ecco cosa rappresenta Lucca nel mio libro, una provincia chiusa e aperta allo stesso tempo, una infinita possibilità di girare scene in esterna che diffondono comunque la sensazione di interiorità.

I tuoi romanzi solitamente hanno un finale non finale, come a suggerire che lì finisce quella parte di vita dei protagonisti, ma potrebbe, spente le luci e deposta la penna-telecamera esserci un prosieguo. Hai mai pensato di continuare la vita di qualcuno dei tuoi personaggi?

È sempre così, se ci pensi bene. La vita continua il suo corso giorno e notte, il panta rei infinito. Qualsiasi rappresentazione della vita, sia essa una foto, un film, un libro, un quadro, una statua è come una rete gettata in mare per catturare il pesce che passain quel momento. No, non credo di mettermi a scrivere personaggi seriali. Piuttosto, i miei personaggi sono interpretati sempre dagli stessi attori che cambiano abito ogni volta. Comunque l’espressione “penna-terlecamera” è il più bel complimento che potevi fare alla mia scrittura, grazie.

Quanto e come in questi anni è cambiato il modo di vedere e interpretare la società?

Da parte mia non è cambiato il modo di vedere la realtà, ma la realtà cambia inesorabilmente e mi trascina con sé in avanti, malgrado le mie infantili resistenze. Devi sapere, infatti, che il mio gusto e la mia estetica rétro mi pongono spesso in una posizione, appunto, di retrovia rispetto alla società in evoluzione. Ogni tanto mi volto e mi accorgo che sono rimasto in fondo alla fila e allora sono costretto a rincorse faticose. Ma sono anche nella posizione migliore per scrivere un libro…

È diverso avere a che fare con un estraneo che ti chiede l’amicizia su Facebook e uno che ti suona il campanello per lo stesso scopo.

È molto diverso, sì. Nel primo caso è un social, qualunque cosa significhino questi termini inglesi che hanno perso le vocali finali, tanto importanti e dolci nella lingua italiana (editor, navigator, terminator…). Nel secondo caso, invece, è “L’Abat-jour – interno lucchese”.

Intervista di: Luca Ramacciotti

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