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Conosciamo meglio Daniele Sartini

Daniele Sartini è nato a Massa Carrara nel 1979 ha esordito nel 2008 con il romanzo L’isola dei pellicani, a cui sono seguiti altri romanzi e raccolte di racconti. A maggio sarà in libreria con il romanzo Il grigio del fumo per Castelvecchi Editore. Noi lo abbiamo incontrato per avere qualche piccola anteprima sulla storia che tra poco approderà in libreria ed ecco cosa ci ha raccontato ?

Dopo una bella gavetta sei approdato a Castelvecchi con un romanzo che mette le radici dove?

Grafica Divina

– La mia gavetta è durata dieci anni. Anni che non dimentico e che tengo sempre come riferimento. Sono stati fondamentali per migliorare (cosa che cerco di fare ogni giorno), per conoscere persone che mi hanno insegnato tantissimo. IL GRIGIO DEL FUMO mette le radici nel 2013, quando ho raccolto le idee e alcune esperienze vissute, e ho deciso di scriverle. L’incontro con Luisella Pescatori e Michele Caccamo poi mi ha portato fino a Castelvecchi.

Nel libro si parla d’amicizia un termine che oggi purtroppo viene abusato, cosa rappresenta per i tuoi protagonisti e per te?

– L’amicizia è uno dei temi fondamentali. Nel romanzo ci sono diversi tipi di amicizia: quella spontanea, quella obbligata, quella d’interesse. Per i miei protagonisti, Sonny e Samsung, l’amicizia è tutto, anche se non se ne rendono conto (almeno fino ad un certo punto). Io, invece, vivo l’amicizia come un sentimento che ho imparato a riconoscere non da tantissimo tempo. Meglio tardi che mai. Per molti anni, ho creduto che alcuni conoscenti fossero amici. Ma c’è una grandissima differenza che emerge nei momenti di difficoltà. Dovremmo fare più attenzione con questi due vocaboli.

Il tavolo da biliardo è luogo centrale degli eventi cosa rappresenta pe te il gioco?

– Il biliardo è un po’ il terreno di sfida del mio romanzo. Nelle sale, nelle bische, nei retrobottega che racconto si gioca la vita. Sul panno verde si porta tutto della propria personalità. Il biliardo simboleggia ciò che tutti i giorni, spesso senza rendercene conto, facciamo per vivere: studiamo le traiettorie, gli urti delle sponde e proviamo un colpo. A volte esce un bel tiro, altre no.

Sentimenti, passioni, emozioni, voglia di riscatto per conquistare la libertà. Cos’è per te?

– Il biliardo è un po’ la somma di tutto questo. Si gioca per motivi diversi. Come si vive per motivi diversi.

Quando hai “incontrato” i tuoi protagonisti?

– Uno dei miei protagonisti, Samsung, esiste ed è veramente un bengalese che vende rose. L’ho incontrato un’estate di una decina di anni fa, al bancone di un locale, durante una di quelle serate vuote di fine stagione. Una delle più belle chiacchierate della mia vita. L’altro, Sonny, è un po’ il sunto di diverse persone che ho conosciuto.

Cosa vorresti ancora per loro?

– Vorrei che Samsung non fosse più costretto a vendere più rose e che Sonny non smettesse di giocare a biliardo.

Quanto il cinema, una delle tue passioni, è entrato in questo libro?

– Il cinema mi condiziona sempre, è una delle mie più grandi fascinazioni. Ci sono immagini, situazioni, che finiscono in ciò che scrivo. Durante la stesura di questo romanzo ho spesso riguardato il cinema di Nuti (Io, Chiara e lo Scuro; per esempio), perché mi piace quella malinconia che passa allo spettatore senza farsene accorgere, senza dover ricorrere al pianto ma usando, spesso, il sorriso. Ho anche riassaporato le atmosfere de Lo Spaccone di Robert Rossen, una pietra miliare dei film che raccontano il biliardo.

Cosa ti aspetta?

– Mi piacerebbe parlare di questo romanzo con più persone possibili, è molto bello sviscerare le storie. E poi mi auguro di riuscire a migliorare, come dopo ogni esperienza nuova.

E la musica?

– La musica di Rino Gaetano è un po’ la colonna sonora del romanzo. Come mai?
Rino è la mia più grande passione, seguito da Paolo Conte. Volevo che ci fosse un omaggio dentro questo mio romanzo. Poi mi sono reso conto che poteva, e doveva, occupare un ruolo molto più importante ed è diventato una sorta di protagonista, scandendo i tempi e le giornate di Sonny.

Intervista di: Elena Torre

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