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Quattro chiacchiere con… Raffaello Ferrante

Raffello Ferrante, barese, diverse partecipazioni antologiche alle spalle, una collaborazione importante con Scrittura Industriale Collettiva, da anni caporedattore per Mangialibri, dà alle stampe la sua opera prima, per i tipi della giovane ‘round midnight edizioni, un romanzo divertente un po’ pulp con protagonista una Bari underground: Orecchiette Christmas stori . Gli abbiamo fatto qualche domanda per conoscerlo meglio.

Tu ci hai lavorato davvero in una sala Bingo. Perché hai scelto, in qualche modo, di metterla al centro del romanzo?

Grafica Divina

La sala Bingo, che non è la prima volta in effetti che inserisco in un mio racconto, oltre ad essere un posto che conosco molto bene avendoci lavorato, rappresenta in realtà un’ottima location dove ambientare il tipo di storie e di umanità che amo raccontare. Generalmente infatti mi piace osservare e fotografare situazioni chiuse, dove un manipolo vario di umanità si trova a dover interagire volontariamente o meno, a stretto contatto, in una specie di forzato e coatto mini grande fratello. Trovo che la razza umana sia particolarmente interessante da studiare in questi frangenti e dia il meglio/peggio di sé. Il treno in Café Express di Nanni Loy, la cabina d’ascensore in Blackout di Morozzi, il “Comprensorio delle Isole” ne L’ultimo capodanno dell’umanità di Ammaniti o il ristorante “Eden” di Camerieri di Simone Pompucci, sono infatti solo alcuni dei piccoli set che volontariamente inconsapevolmente ho finito per far poi convogliare all’interno della sala Bingo Omero.

Quanto c’è di reale nella Bari di cui parli?

Molto, ovviamente. Come dicevo prima, avendo avuto l’onore e il privilegio di poter osservare da vicino l’intero campionario di personaggi e figure che ruotavano attorno alla sala Bingo, era fin troppo scontato utilizzare quel ‘capitale disumano’ nella loro città d’origine. Per contro è fin troppo evidente che quella raccontata nel romanzo non è la fotografia di Bari tout court, ma solo una delle tante anime che la popolano. Magari l’anima più nera, più popolana, più ‘cozzala’, quella dove la tradizione natalizia diviene solo il pretesto per sfondarsi di cibo, divertimento forzato, trasgressione posticcia figlia di una frustrazione di un anno intero trascorso a schivare angherie e soprusi.

Come è il Natale in una sala Bingo?

Le sale Bingo, oltre che con l’idea di incrementare le casse dello Stato e quelle di gruppi più o meno imprenditoriali, sono sbarcate in Italia con il miraggio di aggregare famiglie e compagnie varie, intorno al vecchio gioco della tombola. In realtà, dopo pochi mesi si è capito che di aggregante c’è ben poco e la vecchietta con il nipotino al braccio che si va a passare l’oretta di svago è stata immediatamente soppiantata, nel migliore dei casi dal giocatore incallito che per vincere cinque euro accoltellerebbe la madre, e nel peggiore da gruppi di malavita organizzata che fiutato il business, lì dentro si sono lentamente insediati. In questo clima è chiaro che anche il Natale finisce, in quel posto, per assomigliare soltanto ad un ritrovo tra le più variegate e misere disperazioni.

I personaggi sono alla fine tutti poco positivi, quando non proprio negativi. C’è una ragione particolare?

Come dicevo all’inizio, ciò che generalmente amo raccontare è l’umanità osservata nella realtà quotidiana, spiandola quando è senza maschera, nell’intimità di un appartamento, quando si appendono le divise e non ci sono più imprenditori, medici, politici, infermieri o papponi, ma solo esseri umani nudi e fragili, vittime dei grandi o piccoli tic, manie e meschinità della vita quotidiana. Ecco allora che un temutissimo criminale capace di terrorizzare chiunque incontri sulla sua strada, mostrerà proprio al suo scagnozzo la parte più debole e umana di sé, o che la femme fatale di turno che tutto e tutti seduce con il suo charme, vedrà insozzata la sua principale arma di seduzione o che il cornificatore seriale, tolta la maschera, sarà costretto a fare i conti con la propria coscienza. E’ in questa rottura che amo cogliere e studiare i miei personaggi.

Nel giovane neolaureato che vuole andar via da una città e un lavoro che gli stanno stretti c’è un po’ di te? Negli altri personaggi immagino ci sia assai poco di autobiografico, vero? O no ?!

Sicuramente tra i cinque protagonisti, Roberto è quello con un background più simile al mio. La fuga da una Bari che ad un certo punto avverte lontana dai suoi ideali ‘giovanili’, fa certamente parte di un percorso esistenziale comune a tanti, non solo al sottoscritto. Ciò che Roberto e tutti i protagonisti – che come lui in fondo fuggono ognuno da qualcosa, attraverso qualcos’altro di artificioso, che sia il gioco, il sesso, l’innamoramento o la violenza – fatalmente non immaginano, è che la fuga alla lunga può solo alleviare ma certamente non risolvere.\r\n\r\n-Il romanzo è uscito da poco più di un mese. Che riscontro sta avendo?\r\n\r\nLe reazioni che mi sono fin ora arrivate, mi sembrano tutte estremamente positive. E questo, fuor di retorica è l’aspetto che mi inorgoglisce di più.

Pensi di scrivere un nuovo romanzo a breve? E, nel caso, credi che avrà la stessa impronta?

Tanto sono bulimico nella lettura – anche per ‘doveri’ professionali con Mangialibri -, quanto stitico nella scrittura. Sono pigro e tendo a costruire molto nella mente, sedendomi a scrivere solo a storia praticamente compiuta. Per cui al momento sono impegnato a trastullarmi con un’idea che mi ronza in testa da un po’. Ma niente di più. L’impronta certamente e fatalmente sarà più o meno la stessa, visto che non considero per ora certamente esaurita la mia curiosità antropologica nei confronti dell’umanità.

Intervista di: Alessandra Farinola

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