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Andrea Pedrinelli torna con un nuovo libro dedicato a Mino Reitano inserito in un progetto tutto da scoprire

Andrea Pedrinelli ci parla di Mino Legacy

Andrea Pedrinelli giornalista, scrittore, autore e critico musicale ci porta all’interno del nuovo bellissimo progetto musicale di Felice Clemente dedicato a Mino Reitano

Sotto quali venti nasce il progetto Mino Legacy?

Grafica Divina

Conosco Felice Clemente da quando consegnò il suo primo album …porta a porta: che nel mio caso significò vedermi arrivare a casa l’artista con il disco in mano speranzoso per un ascolto. Ma sin da allora l’ho sempre considerato un eccellente jazzista, uno dei pochi giovani italiani di livello internazionale. Quando mi ha detto, un paio d’anni fa, di essere nipote di Mino Reitano mi è parso naturale raccontargli il mio incontro con Mino: una persona splendida, pulitissima, educatissima, veramente un uomo squisito. E chiacchierando delle cattiverie che il mondo della musica aveva riservato a suo zio Felice mi ha confidato di volergli dedicare una rilettura jazz dei suoi capolavori. Allora gli ho proposto di scrivere qualcosa, per ricordare bene Reitano, e da lì via via è nato tutto. Con l’obiettivo primario di ridare a Mino almeno un po’ di quello che ingiustamente gli è stato sottratto nel tempo, spesso solo per maleducazione.

Da quale prospettiva hai deciso di raccontare Reitano?

Credo che lavorare su un artista per spiegare il suo percorso e far capire a chi legge cosa va conservato o come va valutato non possa prescindere da un approccio scientifico. Non amo i libri scritti “con” gli artisti, meglio è documentarsi su ciò che hanno detto e fatto, sentendo magari testimoni come ho fatto per Jannacci ma senza rischiare di dover poi omettere o sottolineare qualcosa solo per un’amicizia nel frattempo venutasi a creare. Ho lavorato da storico della canzone e critico musicale tout-court, dunque: prima cercando, impresa durissima, tutti i dischi di Mino, ascoltandoli e capendo come si era evoluta (o involuta a tratti, purtroppo) la sua carriera; poi ho raccolto più materiale che potevo fra scritti su Reitano (pochi), interviste (poche) e soprattutto, visto che era snobbato dalla stampa, le sue parole prese direttamente dalla sua viva voce in radio e tv. Da questi due percorsi di documentazione nasce un racconto di una vita e di una carriera che è fatto in modo onesto, sia nell’elogio delle cose belle che nella critica a volte feroce di certi errori.

Nel tuo lavoro di ricerca ti sei imbattuto in qualcosa che ha stupito anche te?

In tante cose che mi hanno stupito, mi sono imbattuto. Penso alle cattiverie gratuite dei giornali dei periodi sanremesi di Reitano; alle scarsissime rassegne stampa di un artista da hit parade evidentemente maltrattato dalla critica; ma penso anche agli elogi per il giovane Mino debuttante a fine anni Sessanta, e ai lati nascosti della sua storia, dall’emigrazione ai suoi libri, dal rapporto con la Calabria a quello con i colleghi, che lo stimavano moltissimo. Lavorando al Dvd accluso a Mino Legacy ho anche avuto modo di sbalordirmi per la grandezza di Mino sul palco nei live, e ascoltando i suoi dischi ho scoperto due-tre album che rientrano senz’altro fra i capolavori del pop italiano. Purtroppo, di lui si sapeva più facilmente e si ricostruiva prima una serie di errori e scelte sbagliate che l’hanno penalizzato: ma dietro ciò c’era un signor cantante e un grande musicista, che è stato bello rendere disponibile agli altri. Nelle enciclopedie della canzone solo poche righe generiche, di solito, gli vengono dedicate.

Quanto della nostra cultura racconta la musica popolare nel senso più nobile del termine, come diresti te?

Tantissimo, oserei dire quasi tutto. Certo il repertorio d’autore fornisce chiavi di lettura di epoche intere e a volte le testimonia in modo più efficace di quanto possa fare un saggio sociologico. Però aver presente anche cosa, nelle varie epoche, ha conquistato le generazioni specie più giovani è molto importante per capire il Paese e i suoi cambiamenti. Certe copertine possono da sole far comprendere i tempi in cui sono state realizzate, figuriamoci certe melodie, certi testi, certi suoni. La nostra cultura popolare di persone nate nel Novecento, quando la canzone aveva sostituito la lirica in toto quale espressione musicale favorita, è inevitabilmente fatta di canzoni. E se qualcuno pensa di essere riuscito a sfuggire alla trappola del “facile ascolto” per ascoltare solo, che so, Guccini o gli Area, beh, non è mai vero: perché certi pezzi segnano un’epoca e la identificano per tutti, anche per chi certi generi non li ama. Mio padre non ha mai amato la canzonetta più di tanto, però l’Orietta Berti degli anni Sessanta o i Ricchi e Poveri degli anni Ottanta li colloca subito nel panorama delle voglie del Paese di allora: anche se poi magari lui ascoltava musica sinfonica… Figurarsi analizzare dunque De Gregori o Jannacci, che a immagine e suoni aggiungono testimonianze, prospettive critiche, giudizi… Andrebbe messa nei libri di scuola, la canzone: tutta, soprattutto quella che ha retto al tempo o che in un dato periodo ha venduto milioni di dischi.

Quale il modo migliore per conoscere realmente un artista della canzone?

L’unico che conosco è ascoltarlo. Se si può anche dal vivo. Il resto viene di conseguenza; se hai la possibilità anche di conoscerlo non è male, ma non è decisivo. La riprova è che spesso, incontrando gli artisti e dicendo loro quale loro canzone era la mia preferita nel loro repertorio, mi rispondevano sbalorditi “E’ anche la mia, preferita”… E’ successo con Branduardi, con Minghi, con Gianco, con Luporini… Artisti diversissimi. Ma evidentemente un ascolto attento, rispettoso e libero da pregiudizi mi aveva fatto capire il loro centro poetico.

Tanti sono gli artisti di cui ti sei occupato da Zero a Gaber, da Jannacci a Susanna Parigi cosa hanno lasciato in te?

Susanna è un’amica, oltre che una delle poche cantautrici vere di questo Paese, troppo brava per funzionare nelle conventicole che lo condizionano. Di Zero e Gaber ricordo un titolo di un mio articolo “a due facce” che scrissi prima di lavorare su di loro, con Gaber ancora vivissimo: parlava di artisti “senza età e senza eredi” segnalando che Zero mi aveva insegnato a sognare e Gaber a pensare. Lo confermo. Peccato che la scelta del Signor G di essere prosaico e realista all’estremo, nel tempo, l’abbia vista fargli perdere la presa sui ragazzi delle scuole. Non l’avrei mai pensato ma è successo: la poesia ti permette invece eternità, che peccato. Jannacci, che dire? Enzo è stato il più grande. Un poeta a volte troppo complesso per essere capito ma sempre avanti di trenta o quarant’anni, con una dolcezza infinita e un’empatia totale per gli altri uomini. Persona immensa, artista che andrebbe tenuto vivo ogni giorno per ogni età. E’ di Enzo, in realtà, il mio piccolo motto quotidiano: “Ci vuole dignità”. E’ durissima, ma lo specchio poi non ti rigetta immagini disgustose e comunque è l’unica via per provare a essere uomini a testa alta.

Di chi ti piacerebbe raccontare?

Sto scrivendo un altro libro su un artista diversissimo da quelli di cui mi sono occupato sinora, sempre con la voglia di capire e di lasciare scritto il peso anche dell’opera di questi nel patrimonio della canzone italiana. Scriverei di tutti, mi piacerebbe arrivare a una sorta di enciclopedia che testimoni artisti, dischi, percorsi della canzone nella storia. Specie sulle discografie c’è pochissimo, anche nei libri più imponenti. Forse mi manca di scrivere di Mimì, fra gli artisti che ho amato di più. O di far ricordare altre figure che non sono trattate con giustizia come Reitano: penso a Bongusto che si è ritirato dalle scene senza che nessuno dicesse che è stato un interprete immenso, a Mango che purtroppo ci ha lasciato senza vedere il suo talento magnificato come si doveva, a Franco Simone che realizza dischi splendidi venendo sistematicamente ignorato. Potrei anche dirti i Pooh, ma chissà: comunque con loro ci ho lavorato, e il cofanetto Pooh Legend di libri e Dvd è un lavoro esplicitamente e onestamente critico, grazie alla loro serietà professionale. Dunque cosa potrei scrivere di più, sulla band più importante della nostra storia, oltre a quanto già scritto lavorando… con loro??? Magari però un giorno, chi lo sa, appunto: certo di loro ne so molto, e molto che pochissimi sanno. E bisognerebbe rivalutarli, certi nostri gruppi: penso anche, ma non solo, a Banco e Orme.

Intervista di: Elena Torre

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