Cos’hai imparato dai tuoi personaggi?
Confrontandoti con i tuoi lettori, cosa pensi li abbia convinti a restare fedeli alla saga?
\r\nSei stata tradotta in tanti Paesi. In quali secondo te le tue storie hanno attecchito meglio e perché?
I dati dicono che i miei libri vanno molto bene in particolare in Francia, Germania e Russia. Nei primi due paesi ho avuto modo di testare di persona l’affetto deilettori. Probabilmente c’entra molto la capacità delle case editrici, in entrambi i casi piuttosto grandi, di avere una buona distribuzione e di far conoscere i miei libri. Non so però quali altri fattori abbiano potuto influire. Ho l’impressione però che, almeno in Europa, ma probabilmente in tutto il mondo occidentale, i ragazzi sono un po’ sempre gli stessi, tendono ad avere immaginari e gusti comuni, e quindi non sorprende che certi successi siano transnazionali.
Il genere fantasy è stato sicuramente importante per te, un genere che ti ha permesso di esplorare in moltissime direzioni e raccontare molto. L’hai mai vissuto come una restrizione?
Come tutti i generi, è ovviamente rigidamente codificato, ma nessuno obbliga lo scrittore ad attenersi per forza al canone. Io, poi, sono una persona ansiosa, per cui certi limiti in verità tendono a rassicurarmi. Quando voglio sentirmi un po’ più libera, mi affido alla mia produzione fantastica (La Ragazza Drago, Pandora), dove i vincoli sono minori. Di recente, comunque, ho iniziato a forzare anche un po’ i limiti del fantasy classico. In Nashira ci sono alcune contaminazioni di fantascienza. In ogni caso, per me il fantasy è sempre stato il modo migliore per esprimere me stessa e il mio modo di vedere la vita. Se l’avessi mai percepito come un limite, mi sarei messa a scrivere altro.
Il fatto che il tuo è prevalentemente un pubblico giovane ti pone in qualche modo in una posizione di responsabilità?
Sì, indubbiamente, ma cerco di non farmene influenzare quando scrivo. Ho sempre pensato che porsi dei limiti nella scrittura in relazione al proprio target fosse il modo giusto che diventare accondiscendenti nelle proprie storie, e, da lettrice, odio quando mi sembra che uno scrittore si stia “abbassando” al mio livello o si limiti per venirmi incontro. Certo, la responsabilità di chi riesce, con la propria voce, a raggiungere e influenzare un gran numero di persone esiste e non si può negare. Io ho risolto la questione nel modo seguente: cerco di essere onesta quando scrivo, cerco di raccontare solo storie che sento profondamente e che rispecchino fedelmente il mio modo di vedere la vita e il mondo. Per quel che riguarda me, è l’unico modo che conosco per rispettare il lettore.
Qual è la cosa che maggiormente ti ha sorpreso dei tuoi lettori in tutti questi anni?
L’affetto e la capacità di vivere profondamente le mie storie. Sebbene fossi una lettrice forte, quando ancora non facevo questi mestiere non avevo mai capito che la scrittura è un lavoro a doppio senso: tu dai qualcosa al lettore, ma se questo qualcosa ha colpito a fondo, se è diventato parte del bagaglio esistenziale di quella persona, allora il lettore vorrà dare qualcosa in cambio a te. È una cosa indubbiamente bellissima, che dà molto carburante allo scrittore, che fa per altro un lavoro parecchio solitario, ma a volte può essere anche dura. Più di una volta i miei lettori mi hanno chiesto di condividere con loro esperienze difficili, il loro stesso dolore, e lì ho capito quanto le storie possano cambiare il mondo, e quanto sia necessario mettersi in gioco in questo lavoro. Ma tutto ciò che i lettori mi hanno detto, anche quando si trattava di qualcosa di doloroso, è stato importante e bello.
Cosa diresti a Licia Troisi?
Di cercare di rilassarsi un po’, ogni tanto. Di fare i conti col fatto che l’insoddisfazione perenne fa parte di questo lavoro, e di saper godere delle enormi soddisfazioni che questi dieci anni hanno portato. E poi le augurerei altri dieci, venti, cento anni come questi 🙂
Intervista di: Elena Torre
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