Home Da conoscere Da Conoscere Licia Troisi una scrittrice che ci sta a cuore

Da Conoscere Licia Troisi una scrittrice che ci sta a cuore

Con immenso piacere ospitiamo una delle scrittrici che infiamma l’immaginazione dei più giovani da un decennio… trasportandoli in un mondo che tutti abbiamo voglia di conoscere.

Dieci anni di Mondo Emerso, obbligatorio un bilancio. Cos’è rimasto di sommerso?
Alla fine, contrariamente a quel che credevo anch’io, molto. Il Mondo Emerso è un posto ancora vivo in me e che aveva ancora cosa da dire, soprattutto nel personaggio di Nihal, che probabilmente ho fatto fuori un po’ troppo rapidamente. Cosa ci sia ancora da dire in dettaglio non lo so, quello lo decido al momento di elaborazione delle trame, e poi adesso sto lavorando su altri progetti, ma non mi sembra comunque che si tratti di una storia chiusa.
Quanto e in che modo siete cresciuti tu e i tuoi personaggi?
Molte cose, innanzitutto, sono cambiate nella mia vita: quando ho raccontato la prima volta le storie di Nihal and company ero laureanda in astrofisica e vivevo ancora coi miei. Oggi sono spostata, vivo con mio marito e ho una figlia. Tutte queste cose hanno ovviamente avuto un influsso su quel che scrivo. Nel contempo, tornando a parlare di Nihal, mi sono accorta che anche lei in qualche modo era cambiata e cresciuta, anche se in tutto questo tempo non è stata protagonista di alcun libro. In qualche modo ha continuato a vivere nella mia testa, e mi ha dato modo, con Le Storie Perdute, di parlare proprio di tutti questi cambiamenti che ci sono stati nella mia vita. Le Storie Perdute, ad esempio, sono il primo libro in cui io parli della mia esperienza con la maternità.
Spero inoltre che in questi anni sia migliorato il mio stile; di sicuro è aumentato il controllo che ho sulla mia scrittura e la mia consapevolezza in generale. Tecniche che prima mettevo in atto inconsciamente adesso sono espedienti voluti e che metto in atto consapevolmente.

Cos’hai imparato dai tuoi personaggi?

Grafica Divina
Non saprei. Più che altro mi sono serviti come valvole di sfogo; in essi ho riversato molte mie manie, paure, debolezze, tramite loro ho potuto riflettere su eventi della mia vita. In genere, una volta che ne scrivo, un fatto che mi è accaduto in qualche modo smette di ossessionarmi; riesco a rifletterci e a passare oltre, considerarlo un capitolo chiuso. Non posso dire di aver risolto molto dei nodi non ancora sciolti della mia esperienza esistenziale, ma pian piano ne sto venendo a capo.

Confrontandoti con i tuoi lettori, cosa pensi li abbia convinti a restare fedeli alla saga?

Ha avuto di sicuro un forte impatto il fatto che molti di loro l’abbiano letta quando erano adolescenti, o magari ancora prima, e che dunque il Mondo Emerso sia entrato a far parte del loro bagaglio esistenziale in un momento della vita in cui si fa esperienza di tutto in modo molto intenso, e in cui quel che ci colpisce poi fa parte di noi per sempre. Molti di loro hanno parlato delle Cronache proprio come di “un pezzo della loro infanzia”. Probabilmente questo, unito ad una certa nostalgia per quando si era più giovani, ha fatto sì che continuassero ad amare le mie storie. La verità comunque è che non ci sono ricette del successo, e spesso anche a posteriori è difficile capire perché una cosa sia piaciuta.

\r\nSei stata tradotta in tanti Paesi. In quali secondo te le tue storie hanno attecchito meglio e perché?

I dati dicono che i miei libri vanno molto bene in particolare in Francia, Germania e Russia. Nei primi due paesi ho avuto modo di testare di persona l’affetto deilettori. Probabilmente c’entra molto la capacità delle case editrici, in entrambi i casi piuttosto grandi, di avere una buona distribuzione e di far conoscere i miei libri. Non so però quali altri fattori abbiano potuto influire. Ho l’impressione però che, almeno in Europa, ma probabilmente in tutto il mondo occidentale, i ragazzi sono un po’ sempre gli stessi, tendono ad avere immaginari e gusti comuni, e quindi non sorprende che certi successi siano transnazionali.

Il genere fantasy è stato sicuramente importante per te, un genere che ti ha permesso di esplorare in moltissime direzioni e raccontare molto. L’hai mai vissuto come una restrizione?

Come tutti i generi, è ovviamente rigidamente codificato, ma nessuno obbliga lo scrittore ad attenersi per forza al canone. Io, poi, sono una persona ansiosa, per cui certi limiti in verità tendono a rassicurarmi. Quando voglio sentirmi un po’ più libera, mi affido alla mia produzione fantastica (La Ragazza Drago, Pandora), dove i vincoli sono minori. Di recente, comunque, ho iniziato a forzare anche un po’ i limiti del fantasy classico. In Nashira ci sono alcune contaminazioni di fantascienza. In ogni caso, per me il fantasy è sempre stato il modo migliore per esprimere me stessa e il mio modo di vedere la vita. Se l’avessi mai percepito come un limite, mi sarei messa a scrivere altro.

Il fatto che il tuo è prevalentemente un pubblico giovane ti pone in qualche modo in una posizione di responsabilità?

Sì, indubbiamente, ma cerco di non farmene influenzare quando scrivo. Ho sempre pensato che porsi dei limiti nella scrittura in relazione al proprio target fosse il modo giusto che diventare accondiscendenti nelle proprie storie, e, da lettrice, odio quando mi sembra che uno scrittore si stia “abbassando” al mio livello o si limiti per venirmi incontro. Certo, la responsabilità di chi riesce, con la propria voce, a raggiungere e influenzare un gran numero di persone esiste e non si può negare. Io ho risolto la questione nel modo seguente: cerco di essere onesta quando scrivo, cerco di raccontare solo storie che sento profondamente e che rispecchino fedelmente il mio modo di vedere la vita e il mondo. Per quel che riguarda me, è l’unico modo che conosco per rispettare il lettore.

Qual è la cosa che maggiormente ti ha sorpreso dei tuoi lettori in tutti questi anni?

L’affetto e la capacità di vivere profondamente le mie storie. Sebbene fossi una lettrice forte, quando ancora non facevo questi mestiere non avevo mai capito che la scrittura è un lavoro a doppio senso: tu dai qualcosa al lettore, ma se questo qualcosa ha colpito a fondo, se è diventato parte del bagaglio esistenziale di quella persona, allora il lettore vorrà dare qualcosa in cambio a te. È una cosa indubbiamente bellissima, che dà molto carburante allo scrittore, che fa per altro un lavoro parecchio solitario, ma a volte può essere anche dura. Più di una volta i miei lettori mi hanno chiesto di condividere con loro esperienze difficili, il loro stesso dolore, e lì ho capito quanto le storie possano cambiare il mondo, e quanto sia necessario mettersi in gioco in questo lavoro. Ma tutto ciò che i lettori mi hanno detto, anche quando si trattava di qualcosa di doloroso, è stato importante e bello.

Cosa diresti a Licia Troisi?

Di cercare di rilassarsi un po’, ogni tanto. Di fare i conti col fatto che l’insoddisfazione perenne fa parte di questo lavoro, e di saper godere delle enormi soddisfazioni che questi dieci anni hanno portato. E poi le augurerei altri dieci, venti, cento anni come questi 🙂

Intervista di: Elena Torre

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