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Luca Manfredini, l’intervista

Incontriamo Luca Manfredini, viareggino, autore emergente,  alle prese con un insolito fantasy L’Ottava meraviglia edita dalla Giovane Holden Edizioni. Abbiamo voluto saperne di più.\r\n\r\nQuando nasce la tua passione per la narrazione?\r\n\r\nPenso che la narrazione mi abbia affascinato fin da quando ero bambino e leggevo i libri di Salgari. La narrazione aiuta ad esprimere concetti, emozioni, argomenti ma senza sentirsi vincolati, senza passare per forza da un’unica strada. E’ questa la forza del racconto. E poi mi piace lasciare che sia il lettore a prendere ciò che lo colpisce di più durante la lettura. Un po’ come succede nelle canzoni, che sono l’altro grande amore della mia vita; ognuno si appropria di ciò che nasce nella mente di altri. Perché nello stesso istante in cui l’arte si dona agli altri diventa di tutti.\r\n\r\nPerché scegliere come protagonista un animale dopo la strapresenza Disney di animali parlanti? (una bonaria provocazione la mia)\r\n\r\nPerché amo gli animali e la natura. Mi piacciono i boschi e quando posso parto da solo e li visito perdendomi volentieri in tutto quell’incanto. Ricarico le pile! Non mi sono posto il problema dell’originalità o meno della mia scelta narrativa. Credo che abbiamo perso il contatto con la nostra vera essenza: veniamo dalla natura e a lei apparteniamo. Gli animali ci comunicano molto ma noi abbiamo perso la capacità di imparare da loro. Sto leggendo un libro sulla cultura degli Indiani d’America e uno degli aspetti che emerge con forza è questo legame quasi spirituale con la terra e con gli animali che la abitano. Questo mi ha fatto riflettere anche sulle radici di una spiritualità cattolica che vede gli animali come creature di Dio, ma in una situazione di sudditanza: “Dominerai sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo” ecc. Credo che dobbiamo tornare a guardare la natura senza preconcetti perché abbiamo perso la capacità di leggerla, di trovare in lei la risposta alla domanda delle domande: chi siamo e cosa può rendere unico il viaggio.\r\n\r\nPer preparare il tuo eroe quanto hai studiato il comportamento degli orsi?\r\n\r\nNel 98 ho fatto un giro in Canada con un camper. Ho visitato i parchi della British Columbia e mi è capitato di fermarmi ad osservare da vicino un orso che pascolava libero in una radura nei pressi della strada. A distanza di anni quell’emozione unica è tornata prepotente nella mia testolina e per me è stato naturale che il protagonista del mio libro fosse un orso. Poi approfondendo l’interesse per la cultura degli Indiani d’America ho scoperto che ogni uomo ha un totem, un animale a cui è strettamente legato e che può individuare attraverso un sogno o un episodio particolare successo durante la sua vita. E’ stato interessante scoprire che l’orso, nella descrizione che ne fanno i Pellerossa, ha caratteristiche che si sposano perfettamente con il mio carattere e le mie abitudini. Come vedete lo studio sul comportamento di questi bellissimi animali ha seguito strade poco convenzionali.\r\n\r\nI personaggi sono fortemente stereotipati e incarnano modelli precisi. C’è una precisa volontà pedagogica?\r\n\r\nLavoro con i ragazzi ormai da più di vent’anni e mi sono sicuramente lasciato influenzare dagli input comportamentali propri dell’educatore. Il bisogno di marcare ed accentuare l’aspetto pedagogico è una sorta di deformazione professionale. Mi ha fatto però piacere vedere molti ragazzi alle mie presentazioni e sapere che parecchi di loro hanno letto “L’Ottava Meraviglia”. L’azione Pedagogica come concetto generale, si ritiene possa coincidere con quella volontà un po’ retrò di voler comunicare per forza una morale. La domanda che mi pongo è semplice: ma in questo periodo storico, dove uno strano concetto di modernità spinge tutti a concentrarsi sul presente a discapito di una memoria storica che stiamo smarrendo, qualcuno, questo compito ingrato di adempiere ad una funzione pedagogica, deve assolverlo oppure no? Pensiamo che sia necessario? Possiamo davvero farne a meno? Io penso di no al di là dei limiti che sono propri ed insiti nel compito.\r\n\r\nIl tuo raccontare abbonda di aggettivi, le descrizioni sono particolareggiate in un momento in cui la narrativa tende a ‘sottrarre’ alla lingua è una scelta controcorrente. Come mai?\r\n\r\nAmo la lingua Italiana ed è uno dei motivi per cui uso tanti aggettivi e mi lascio prendere la mano in descrizioni molto particolareggiate. L’altro motivo sta nel fatto che “L’Ottava Meraviglia” è un lavoro in cui c’è molto di me, del mio mondo e questo mi ha portato a descrizioni minuziose, in cui mi sono sentito investito di un compito; portare il lettore a vedere, quasi toccare ciò che la mia mente immaginava in quel momento.\r\n\r\nLa storia è un pretesto per parlare di altro, credi nel compito sociale della scrittura?\r\n\r\nAssolutamente sì! E’ chiaro che non si legge soltanto per approfondire un tema o riflettere, anche semplicemente per rilassarsi, per ridere e perché no, per non pensare. Ma la lettura come la musica, la pittura e il cinema, avvicinano razionalità e istintività, realtà e sogno. Ci permettono di spaziare, di porci domande, di crescere. E’ un viaggio nel viaggio e in tempi congestionati come quelli in cui viviamo tutto questo sa di terapeutico. Quale immensa possibilità ci fornisce la narrazione? Quella di permettere agli autori e ai lettori di mettersi seduti, tuffarsi nelle parole e viaggiare. A volte ci sono libri che segnano la nostra vita e che di tanto in tanto riprendiamo fra le mani, solo per rileggere una frase, o un capitolo. E poi aspetto di primaria importanza…… siamo noi che scegliamo.\r\n\r\nQuanto il tuo lavoro di educatore ha influito sulla stesura di questo romanzo?\r\n\r\nMolto e in un certo senso sono contento che la mia professione si sia infilata senza permesso in questo viaggio assolutamente personale. Il lavoro sociale non è come altre professioni. Ti obbliga a mischiare il tuo personale con il lavoro, ti costringe a leggere dentro di te. Quando i ragazzi entrano in relazione sono bravissimi a minare le tue certezze e ti trovi costretto a ripensarti in un processo intrigante quanto faticoso. Per me scrivere è sempre stato terapeutico e quindi mi è venuto naturale mescolare il mio cammino in ambito lavorativo con quello personale perché alla fine sono strettamente legati.\r\n\r\nCosa ti aspetti dall’ottava meraviglia?\r\n\r\nAl momento sono successe cose che non mi sarei aspettato. Ogni volta che lo presento da qualche parte mi rendo conto che le persone ascoltano e interagiscono perché alla fine il tema della ricerca, della missione e dei valori costituiscono il senso vero di ogni percorso personale. E poi ricevo attestati di condivisione da chi l’ha letto e questo mi rende orgoglioso. Tutto quello che verrà sarà a questo punto davvero un di più. Io comunque ci ho preso gusto e come dice il proverbio: “l’appetito vien mangiando”.\r\n\r\nIntervista di: Elena Torre\r\n\r\n 

Grafica Divina

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