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Conosciamo Daria Capanna

Incontriamo Daria Capanna giovane poetessa con tante cose da dire…\r\n\r\nQuando nasce in te la voglia di scrivere?\r\nQuando ero piccola non mi piaceva leggere, era mia mamma che letteralmente mi obbligava a farlo. Poi, grazie a lei, ho iniziato ad amare i miei libri, primo tra tutti “Il Gabbiano Jonathan Livingston” di Richard Bach, e direi con incerta timidezza sono venute fuori le prime parole. Di recente, durante un trasloco, ho ritrovato la mia prima poesia annotata in un diario, e poi ancora mille lettere scritte nel periodo del liceo. All’università non ricordo di aver scritto niente, forse perché ero troppo presa dallo studio e dai miei problemi. Poi mi sono trasferita a Prato ed il silenzio si è interrotto. Devo tutto a Carlo, il mio compagno, e alla notte del 20 gennaio 2008, una notte fredda, ventosa, misteriosa. Carlo già dormiva quando io, seduta al suo tavolo, ho cominciato ad annotare parole, emozioni, avvolta dall’incanto di un mondo tutto da esplorare. Proprio le poesie scritte in quella notte hanno dato inizio ad una lunga serie di componimenti, poi raccolti in “Satori”. Ho scoperto questo termine ed il suo affascinante significato leggendo “Un indovino mi disse” di Tiziano Terzani. Nella pratica del buddismo, il satori indica una sorta di risveglio spirituale, è la consapevolezza di un attimo, una certezza, un’illuminazione che fa comprendere il senso della vita e della propria condizione. Credo di aver avuto accanto a Carlo il mio satori; da qui la scelta di questo titolo per la mia prima silloge. Aggiungo per pura vanità che al libro è stato riconosciuto un encomio speciale al Premio Nazionale di Poesia e Narrativa “Il Golfo” 2011.\r\n\r\nDa cosa nascono i tuoi versi? A chi rivolgi i tuoi componimenti, hai un lettore ideale?\r\nNon ho un lettore ideale, io scrivo per me. La mia scrittura nasce da un’esigenza tutta personale. E’ una magia che ogni volta si ripete, un miracolo interiore che mi permette di descrivere in modo semplicissimo e con poche parole un’emozione, bella o brutta che sia. La sento arrivare all’improvviso, è come se le parole mi piombassero addosso, ed io non posso far altro che buttarle fuori dirottandole sul foglio. E’ così che mi libero dal dolore, dalla rabbia, ed è così che dipingo su un foglio una gioia o un’impressione di felicità. La poesia è il mio modo di vivere, come fosse respirare; la mia poesia è ricordo, fotografia di un istante che voglio e che devo conservare. Non vorrei mai scoprirmi a scrivere per puro esercizio di stile; per me sarebbe un grande dolore.\r\n\r\nChe ruolo ha e dovrebbe avere la poesia oggi?\r\nHo pubblicato il mio primo libro di poesie, “Satori”, nel luglio 2010 con Albatros, devo dire piena di speranze. Poi ho scoperto che la visibilità è riservata solo a pochi romanzi, magari più commerciali di un libro di poesie pubblicato da un autore sconosciuto. Mi chiedo perché. Perché in libreria lo scaffale dedicato alla poesia è sempre più ridotto? Perché il pubblico ed in primis gli editori non ascoltano le parole degli uomini e delle donne che scrivono poesia? I poeti non fanno che gridare, ma in pochi li ascoltano. Credo che la società dovrebbe prestare più attenzione. In fondo i dolori e le gioie dei poeti sono i dolori e le gioie di tutti, solo che i poeti sanno come descriverli.\r\n\r\nPoesia o prosa? Potenzialità e limiti?\r\nSenza dubbio la poesia va letta in momenti particolari, quando l’animo è predisposto per quel tipo di lettura. La poesia è emozione, si capisce quando si è capaci di andare oltre le parole, quando si è in grado di provare una profonda empatia. La prosa è forse meno impegnativa, o meglio non richiede quel particolare stato d’animo che è assolutamente necessario per comprendere la poesia. Dopo aver composto solo poesia per circa quattro anni, di recente ho scritto anche un racconto, a cui è stato riconosciuto il Premio della Critica al concorso letterario “Il Golfo” 2012. Si tratta di un riconoscimento per me molto importante, considerato il fatto che non sono mai riuscita ad andare oltre il foglio protocollo sin dai tempi dei temi al liceo, e che spesso ho il fiato corto anche in poesia. In questi giorni sta nascendo in me l’idea, o forse il bisogno, di proseguire quel racconto per trasformarlo in un’opera di più ampio respiro. E chissà che non ne venga fuori un romanzo. Sarebbe senza dubbio una bella sfida.\r\n\r\nHai dei riferimenti letterari?\r\nSicuramente vorrei poter leggere di più, purtroppo il lavoro ruba la maggior parte del mio tempo. Quando riesco, cerco di alternare prosa a poesia. Tra i poeti che ho letto e leggo di più, e che spesso tengo sul comodino vicino a me, ci sono sicuramente Alda Merini, Tagore, Ungaretti, Neruda, Garcia Lorca, Nazim Hikmet, del quale ho molto apprezzato anche il romanzo “Gran bella cosa è vivere, miei cari“. Riguardo alla prosa è praticamente impossibile fare un elenco; mi limito a menzionare “L’arpa d’erba” di Truman Capote, che ho scoperto recentemente, “La noia” di Moravia, caposaldo tra le mie letture, e “Cime tempestose” che ho divorato chissà quante volte. Aggiungo, accanto al piacere di leggere letteratura, il mio amore per la fotografia. Spesso vado in giro con la mia reflex per le strade di città, spesso sogno di vedere il mondo per poter portare a casa uno scatto importante, di quelli che ti rivelano il senso delle cose lasciandoti lì, senza fiato. Un libro fondamentale, di quelli da tenere ai piedi del letto, è “L’immaginario dal vero” di Henri Cartier Bresson, il più grande fotografo di tutti i tempi… “Per me fotografare è un modo di capire che non differisce dalle altre forme di espressione visuale. E’ un grido, una liberazione. Non si tratta di affermare la propria originalità; è un modo di vivere”.\r\n\r\nIntervista: di Elena Torre\r\n\r\n 

Grafica Divina

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