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Due chiacchiere con… Andrea Pedrinelli

Ad alcuni giorni dalla fine del Festival Gaber, continuiamo il nostro approfondimento con un’intervista ad Andrea Pedrinelli, che da anni porta Il Signor G nelle scuole con lezioni -spettacolo che rendono comprensibili anche i tratti più spinosi del grande maestro…

A quando il tuo primo contatto con Gaber?

Grafica Divina

Fu quando avevo vent’anni, a teatro, al Carcano di Milano. Conoscevo già alcune canzoni, sia degli anni Sessanta che del Teatro Canzone (Chiedo scusa se parlo di Maria, Far finta di essere sani, Lo shampoo lo conobbi addirittura a sei anni in un Lp di tanti grandi nomi intitolato Cantautori srl…), però non sapevo cosa fosse il Teatro Canzone. E soprattutto non avevo idea di cosa fosse uno spettacolo di Gaber. Bastò vederlo una volta, momenti “disturbanti” compresi, per tenerlo come punto di riferimento per la vita. Tanto da restare choccato alla sua morte, e decidere di investire buona parte del mio tempo per testimoniarlo a chi anagraficamente non può averlo conosciuto, ovvero i ragazzi di oggi.

Perché oggi non ci sono ‘eredi’ del teatro canzone così come lo avevano concepito Gaber-Luporini?

Credo che il punto sia l’onestà intellettuale, e la capacità di mettersi in gioco fino in fondo, con coerenza, sino a rischiare critiche od insulti, sino alla certezza di restare fuori dai giochi di potere e dalle etichette che dominano anche il mondo dello spettacolo, specie quello presunto “intellettuale”. Gaber per essere coerente con quello che voleva dire assieme a Luporini rinunciò a tv, dischi normalmente intesi, pubblicità e quant’altro. Oggi un artista che si professa “duro e puro” e che –ahimé- ha interpretato Gaber, vive grazie alla tv (di Berlusconi!!!) e agli spot pubblicitari. Come potrebbe essere credibile facendo del vero Teatro Canzone, ovvero una vera riflessione sulla realtà, non essendo libero? Questo signore è solo la punta dell’iceberg di una marea di gente che si spaccia “erede” e non sa neanche cosa fosse, Gaber. Inoltre va detto che si scambia troppo spesso l’ironia di Gaber per cabaret, e soprattutto che ci si dimentica quanto disse lo stesso Signor G, che cioè per fare Teatro Canzone bisogna soprattutto saper cantare bene, perché il teatro è un teatro “povero”, di evocazione pura. Oggi i cantanti non hanno le carte in regola per fare teatro neppure “povero”, e chi viene dalla recitazione viene, purtroppo, sempre e solo dal cabaret. Per questo l’unico erede “testuale” del linguaggio di Gaber-Luporini resta Giulio Casale, per quanto a volte sia accusato di imitarlo almeno è sempre stato coerente sia col linguaggio sia nel proporsi (e nel non vendersi). E per questo le uniche due riprese di testi di Gaber obiettivamente inattaccabili da qualunque punto di vista sono state “Il dio bambino”, con un signor attore come Eugenio Allegri che non si è piccato di mischiare alla prosa canzoni note ma ha puntato su un testo di complessa prosa tout-court, e il lavoro di Marcorè. Dove si vedevano onestà intellettuale, ricerca a 360° (non solo delle parti “comode” di Gaber), e capacità di lasciare in primo piano Gaber, cioè l’autore. Come si fa quando si fa seriamente teatro…

Quali aspetti del loro ‘dire in musica’ ne ha secondo te ‘eternato’ il messaggio?

Non è facile, e forse neppure giusto, scindere il “made by Luporini” dal “made by Gaber” nel ragionare sul Teatro Canzone. Però io credo che la risposta corretta a questa domanda sia: Gaber. Cioè la capacità di Gaber, figlia anche dell’esperienza di spettacolo “leggero”, di rendere comunicativi ed incisivi pure i ragionamenti più complessi. Con in più armi “fisiche” da animale da palcoscenico che rendevano immediata la comunicazione, ed un’onestà nel proporsi che rendeva vincente la proposta stessa ed alla fine le fa superare anche barriere temporali. Questa onestà, ovviamente, è anche “made in Luporini”: come ironia e autoironia (e per capire quanto siano decisive penso a Grillo, a quanta gente non riesce a sopportarlo perché di tante cose giuste che dice fa sempre prediche, non usando mai autoironia) e come la profondità di una lettura del reale che diviene giocoforza, concepita come rigorosa e approfondita, lettura dell’uomo. Di ieri, di oggi, di domani, di sempre.

In che modo hai strutturato le tue lezioni-spettacolo?

Provando a ricostruire in piccolo l’altalena di linguaggi tipica del Teatro Canzone e mettendone in ordine crescente temi e spunti con un occhio alla didattica. Quindi: chi era Gaber; cos’è il Teatro Canzone; gli stili (ironia, invettiva, introspezione); i temi forti (amore, dolore, sociale, satira, politica, Umanesimo). E dentro questo percorso, far emergere il senso della sua opera nei testi principali in musica e in prosa (Quando è moda è moda, La cosa, Gildo, Se ci fosse un uomo, il Comunista, passaggi ironici, canzoni d’amore). Tutto lasciando lui e Luporini in primo piano, e usando, o provando a usare, autoironia. Anche perché sennò mi annoierei da solo, temo…

Cosa con tante repliche nelle scuole ti entusiasma di più?

I ragazzi. Che non sono “spenti” come dice Vasco Rossi in una bella canzone. Ma aspettano motivi per “accendersi”. E quando vedono Gaber ne trovano a iosa. Tanto che alla fine quelli delle medie sono esaltati, anche se magari non colgono certi passaggi in toto, e quelli più grandi affascinati, commossi, e –perché no?, capitava anche a me… – disturbati. Comunque tutti restano ammirati dall’uomo e dalle sue scelte, e tutti, si vede dallo sguardo, sono spinti a riflettere. C’è un episodio che ricorderò sempre. Perché quando una ragazzina di terza media ci ha scritto che “Gaber ci dice che la vita è un dono, da trattare con cura”, quello vuol dire che la lezione spettacolo funziona: meglio, fa funzionare ancora Gaber.

A cosa stai lavorando adesso Gaber a parte?

C’è una cosa che non mi è mai piaciuta dell’Italia: dimenticare chi fa la storia, anche di linguaggi minori come per esempio la comicità nobile e appuntita di un Vianello. E lavorando ai dvd sull’opera omnia di Gaber ho capito che forse l’unica cosa che so fare decentemente è proprio riordinare l’opera di artisti che secondo me meritano di essere testimoniati e che mi prendono (il cuore, la testa, lo stomaco… dove mi prendano, dipende). Per provare a testimoniare in modo serio, “all’inglese” o “alla francese” se vuoi, quello che hanno fatto. Così è nato un libro-intervista su Ron, persona splendida oltre che cantautore molto più valido di come le mode l’hanno fatto passare, così sto lavorando a due progetti che non posso svelare ora per motivi “burocratici”, ma che vanno in questa direzione. Per fissare nella storia del pop un repertorio monumentale e per molti versi innovativo, per non far dimenticare un artista che essendo mancato da qualche anno ovviamente oggi, al più, è “usato” per fare squallide antologie in cd a basso prezzo. Gaber era il mio riferimento del cervello, se vuoi posso solo anticiparti che questi artisti su cui sto lavorando per gennaio sono dei riferimenti del cuore. Ed essendo io molte cose ma non certo uno snob, me ne frego delle differenze di linguaggio e, da “saggista”, cerco di testimoniare quello che a mio avviso vale la pena testimoniare: sia esso Teatro Canzone o canzonetta, cuore o cervello.

Intervista di Elena Torre

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